#premiostregachallenge - "Il Gattopardo"


Ciao a tutti!


Eccoci qui con la terza puntata della mia personalissima #premiostregachallenge. Se non vi ricordate cosa sia cliccate qui! Invece qui trovate la prima puntata in cui vi ho parlato de La Chimera di Vassalli e qui la seconda, che ha come protagonista Non ti muovere di Mazzantini.

Oggi vi parlo de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Prima di dirvi cosa ne penso, vorrei raccontarvi la mia esperienza con questo romanzo. In prima superiore (circa di 10 anni fa - aiuto! Sono vecchia) avrei dovuto leggerlo, ma dopo circa 50 pagine lo abbandonai. Risultò troppo noioso e prolisso. Questo è un libro che va letto con consapevolezza e forzarne la lettura è controproducente! Adesso che di anni ne ho quasi 26, sono riuscita a portarlo a termine e ad apprezzarlo.

L'autore

NB: La biografia seguente è presa da Wikipedia, per due motivi: i) non conosco così approfonditamente questo autore, ii) avere un'idea precisa sulla vita di questo autore aiuta a comprendere la sua opera! Quindi non odiatemi per questo.


Don Giuseppe Tomasi, 12º Duca di Palma, 11º Principe di Lampedusa, Barone della Torretta, Grande di Spagna di prima Classe (titoli acquisiti il 25 giugno 1934 alla morte del padre) nacque a Palermo il 23 dicembre del 1896, figlio di Giulio Maria Tomasi (1868-1934) e di Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò (1870-1946). Rimase figlio unico dopo la morte della sorella maggiore Stefania, avvenuta a causa di una difterite (1897). Fu molto legato alla madre, donna dalla forte personalità, che ebbe grande influenza sul futuro scrittore. Non lo stesso avvenne col padre, un uomo dal carattere freddo e distaccato. Da bambino studiò nella sua grande casa a Palermo sotto l'insegnamento d'una maestra, della madre (che gl'insegnò il francese), e della nonna, che gli leggeva i romanzi di Emilio Salgari. 
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
A partire dal 1911 Tomasi di Lampedusa frequentò il liceo classico a Roma e in seguito a Palermo. Sempre a Roma nel 1915 s'iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, senza terminare gli studi. Nello stesso anno venne chiamato alle armi, partecipò alla guerra come ufficiale d'artiglieria e nella disfatta di Caporetto fu catturato dagli Austriaci, che lo imprigionarono in Ungheria. Riuscito a fuggire, tornò a piedi in Italia.
Dopo le sue dimissioni dal Regio Esercito con il grado di tenente, ritornò nella sua casa in Sicilia, alternando al riposo qualche viaggio, sempre in compagnia della madre, che non lo abbandonava mai, e svolgendo studi sulle letterature straniere. Nel 1925, assieme al cugino Lucio Piccolo, fu a Genova, dove si trattenne circa sei mesi, collaborando alla rivista letteraria Le opere e i giorni.
A Riga, il 24 agosto 1932, sposò in una chiesa ortodossa la studiosa di psicanalisi Alexandra Wolff Stomersee, detta Licy, figlia del barone tedesco Boris Wolff von Stomersee e della musicista Alice Barbi, la quale nel 1920 aveva sposato in seconde nozze il diplomatico Pietro Tomasi Della Torretta, zio di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Andarono a vivere con la madre di lui a Palermo, ma ben presto l'incompatibilità di carattere tra le due donne fece tornare Licy in Lettonia. Nel 1934 morì Giulio Tomasi, e così Giuseppe ereditò il titolo. Nel 1940 venne richiamato in guerra, ma, essendo a capo dell'azienda agricola ereditata, fu presto congedato.
Si rifugiò così con la madre a Villa Piccolo a Capo d'Orlando, dove poi li raggiunse Licy, per sfuggire ai pericoli della guerra. Alla morte della madre nel 1946, Tomasi di Lampedusa tornò a vivere con la moglie a Palermo. Nel 1953 iniziò a frequentare un gruppo di giovani intellettuali, dei quali facevano parte Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Mazzarino. Con quest'ultimo instaurò un buon rapporto affettivo, tanto da adottarlo qualche anno dopo. Da quel momento in poi Gioacchino Lanza Mazzarino fu ribattezzato Gioacchino Lanza Tomasi.
Tomasi di Lampedusa fu spesso ospite presso il cugino Lucio Piccolo, col quale si recò nel 1954 a San Pellegrino Terme per assistere a un convegno letterario, cui il cugino poeta era stato invitato per ritirare il primo premio di un concorso letterario. Lì conobbe Eugenio Montale e Maria Bellonci. Si dice che fu al ritorno da quel viaggio che iniziò a scrivere Il Gattopardo, ultimato due anni dopo, nel 1956. All'inizio, il manoscritto del Gattopardo non fu preso in considerazione dalle case editrici Mondadori ed Einaudi a cui fu inviato in lettura e i rifiuti riempirono Tomasi di Lampedusa di amarezza. Il manoscritto fu giudicato negativamente da Elio Vittorini, all'epoca influente lettore per Mondadori e curatore della celebre collana I gettoni per l'Editore Einaudi.
Nel 1957 gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni, e morì il 23 luglio, non prima di aver adottato come erede l'allievo Gioacchino Lanza di Assaro. Il romanzo fu pubblicato postumo nel 1958, quando Elena Croce lo inviò a Giorgio Bassani, che lo fece pubblicare presso la casa editrice Feltrinelli. Nel 1959 il romanzo vinse il Premio Strega. Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì lontano da casa come il suo antenato protagonista de Il Gattopardo, il 23 luglio 1957 a Roma.

Trama
Feltrinelli, 247 pagine,  9€
Il romanzo, a tratti storico, narra le vicende della nobile e palermitana famiglia Salina, dal punto di vista del principe Fabrizio, il gattopardo, negli anni dal 1860 a 1910. Don Fabrizio è un uomo imponente, distinto e affascinante, cultore della scienza, in particolare dell’astronomia. La moglie, Maria Stella, è una figura pia e retrograda, con cui ha avuto sette figli.
Le vicende iniziano con lo sbarco dei Mille di Garibaldi a Marsala. L’epoca narrata è quella del Risorgimento, in cui si va formando l’Italia unita. Il fermento di tale vicende è ben accolta da Tancredi Falconeri, nipote orfano di Don Fabrizio, il quale si unirà felicemente all’esercito garibaldino. Brevemente vi scrivo cosa potete trovare in questo romanzo, senza anticiparvi nulla.
Il libro è diviso in otto parti, ognuna delle quali presenterà al lettore un determinato lasso di tempo, in cui i personaggi e le vicende principali evolvono. La prima parte (Maggio 1860) introduce la famiglia, le dinamiche feudali, la vita cittadina e l’aspetto duale del Principe: grande pensatore e grande amante. La seconda (Agosto 1860) invece è incentrata sulla villeggiatura della famiglia Salina a Donnafugata, dove la graziosa Angelica farà la sua comparsa, facendo innamorare Tancredi. La terza (Ottobre 1860) narra invece la vita sociale di Donnafugata e l’innamoramento di Tancredi; mentre la quarta (Novembre 1860) ha come protagonista il concretizzarsi dell’amore tra i due giovani e un bellissimo dialogo tra Chavalley, esponente del neo stato italiano, e Fabrizio. La quinta (Febbraio 1861) presenta una breve digressione incentrata su Padre Pirrone e la sua famiglia, mostrando la cultura dei ceti meno abbienti. La sesta (Novembre 1862) invece è dedicata alla famosissima scena del ballo, in cui tradizione e modernità, giovinezza e vecchiaia si incontrano. La penultima (Luglio 1883) racconta la morte del Principe e l’ultima (Maggio 1910) la fine del casato Salina, con tre vecchissime Caterina, Carolina e Concetta, le figlie de Il Gattopardo.

Cosa ne penso
Per quanto lo stile dell’autore a tratti sia pesante ed estremamente ricercato, Il Gattopardo è un libro davvero molto bello. Le vicende sono portate avanti in modo mai banale. Le atmosfere evocate presentano un aspetto a tratti decadente, degradato, ma allo stesso tempo moderno, proprio grazie al periodo di transizione storica narrata.
Lo scenario dei personaggi è ricco e variegato, nessuno è trascurato. L’affresco che Tomasi di Lampedusa ci offre è quello di una Sicilia ricca di cultura, dalla più aulica alla più umile. Per quanto tutte le vicende siano filtrate dai pensieri del Principe, esse risultano ben analizzate, anche dal punto di vista dei meno abbienti. L’autore restituisce un clima culturale flemmatico, immutabile, statico nella sua natura, dinamico nel suo manifestarsi. Da qui la famosa citazione “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, pronunciata dal giovane Tancredi, prima di partire con i Mille.
Sorge spontaneo l’accostamento di tale romanzo con I Buddenbrook di Thomas Mann (uno dei miei libri preferiti). Infatti anche qui viene narrata la decadenza di una famiglia tedesca dell’alta borghesia, a cavallo del 1900. Entrambi hanno come tema portante la Morte e il fluire del tempo e anche una certa dose di rassegnazione e impotenza davanti agli eventi.

Perché leggerlo
Perché parla dell’Italia di allora, di Tomasi di Lampedusa e di adesso. Un magnifico spaccato della cultura siciliana e di quella italiana, a tratti critica, che porta il lettore a riflettere su quello che siamo stati, su quello che siamo e su quello che saremo. Di certo il romanzo aiuta a capire come l’Italia, dopo 150 anni di unione, non sia cambiata più di tanto. 

Voi l'avete letto? Cosa ne pensate?

Ci vediamo a maggio/giugno con Il nome della rosa di Umberto Eco.

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